giovedì 10 aprile 2014

Pozzi petroliferi contaminati: il Sannio trema

Radiazioni in misura dieci volte superiore ai valori massimi consentiti. Una rivelazione choc quella fatta nei giorni scorsi dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) Molise in relazione al sito di località Capoiaccio nel territorio di Cercemaggiore. Pochi chilometri più in là c’è il confine con il Sannio, segnatamente con i comuni di Castelpagano e Morcone. La stessa area che è interessata dal progetto di estrazione petrolifera denominato «Santa Croce» promosso dalla società «Sviluppo Risorse Naturali» con sede a Roma.

E «Santa Croce» si chiamava anche il pozzo scavato nel 1962 dalla Montedison dove oggi sono venuti fuori i dati allarmanti che hanno messo in moto anche l’Agenzia regionale. Valori radioattivi dieci volte superiori alla norma sono evidentemente eccessivi anche per un sito che ha ospitato attività chiaramente inquinanti. E dunque è scattato, inevitabile, l’interrogativo: cosa è finito davvero in quel pozzo? Lo stabiliranno le indagini che saranno effettuate dalla magistratura molisana in seguito alle denunce presentate da più parti. C’è un dossier presentato dal leader dell’Itralia dei Valori, Antonio Di Pietro, che ha chiesto di approfondire le ricerche sull’area. Alla denuncia dell’ex pm di Mani Pulite si è aggiunta quella di Salvatore Ciocca, consigliere regionale dei Comunisti Italiani, che ha chiesto l’apertura del pozzo e con una dettagliata relazione ha dimostrato che dal 1962, anno in cui sono incominciate le ricerche e gli sfruttamenti petroliferi, fino al 1988, non fu mai effettuata una verifica.

Le prime regolamentazioni risalgono soltanto al 6 giugno del 1988. Proprio in quell’anno è stato reso noto che parte dei reflui provenivano da Melfi, dove la Montedison gestiva 8 pozzi. Per 26 anni, secondo la ricostruzione, il pozzo di Capoiaccio è stato un serbatoio per le immissioni di acque reflue la cui provenienza era sconosciuta. Nell’88 la Regione Molise autorizzò la Montedison ad immettere le acque proveniente soltanto dai giacimenti di Melfi, in Basilicata. Il primo aprile 2014 l’ufficio legale dell’Idv ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Campobasso nei confronti di ignoti ravvisando i reati di inquinamento e di disastro ambientale.

E’ stato richiesto l’intervento dell’assessore regionale Vittorino Facciolla e del ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, che hanno promesso attenzione sulla vicenda che si presenta oggettivamente inquietante, anche alla luce delle dichiarazioni rese pubbliche nei mesi scorsi rilasciate alla commissione bicamerale d’inchiesta nel 1997 dall’ex tesoriere dei Casalesi, Carmine Schiavone. «Sversavamo anche in Molise e nel Matese», dichiarò il malavitoso. Fatti che rendono doverosi i controlli, per sgomberare il campo dai dubbi e dalle paure. Che certo non mancano anche nel Sannio, alla luce dei numerosi pozzi (17) per estrazioni di idrocarburi realizzati negli scorsi anni ma utilizzati solo per brevi periodi.

ottopagine.net

mercoledì 9 aprile 2014

Petrolio: i veleni non fermano le trivelle

Quelle scorie radioattive proprio non ci volevano. Almeno per chi come la società «Sviluppo Risorse Naturali» ambisce a realizzare nell’area un nuovo progetto petrolifero. La notizia relativa all’accertamento di valori abnormi di radioattività nel sito di Cer­­cemaggiore, tra Campania e Molise, ha fortemente scosso le popolazioni locali che vedono materializzarsi lo spettro del disastro ambientale. La vicenda chiaramente attende ulteriori approfondimenti che ci si augura possano almeno in parte ridimensionare il rischio per la salute collettiva. Quanto già ap­purato, però, è di oggettiva gravità. L’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Molise ha registrato valori di radioattività dieci volte superiori alla norma nell’area circostrante il pozzo per l’estrazione petrolifera realizzato negli anni Sessanta dalla Montedison e rimasto in attività per qualche anno.

Poi, terminato lo sfruttamento, il sito sarebbe stato utilizzato per il conferimento di scorie di lavorazione di altri impianti petroliferi, in particolare provenienti dalla Basilicata. Sversamenti regolarmente autorizzati dalle autorità regionali. Ma gli incredibili dati emersi oggi fanno temere che le operazioni effettuate negli scorsi anni siano andate ben oltre il consentito, dando forza alle tante voci relative a misteriosi camion che ad ogni ora del giorno e della notte raggiungevano la località Capoiaccio in territorio di Cercemaggiore.

Comune posto a pochi chilometri dal confine con la Campania e con il Sannio. Nell’area, nei passati decenni, furono realizzati numerosi pozzi per la ricerca di idrocarburi che solo in qualche caso si rivelarono sfruttabili. Da tempo si conoscono svariate testimonianze del passaggio notturno di convogli diretti proprio alle piattaforme petrolifere, malgrado le stesse non fossero in attività. Una leggenda metropolita­na come tante altre o qualcosa di più della mitologia? Un interrogativo che si ripropone con terribile attualità ora che dal Molise rimbalzano le choccanti rivelazioni sul caso Cercemaggiore. Anche perchè la stessa area è interessata da un nuovo program­ma estrattivo partito nel 2010 che ricade proprio nella zona tra Campania e Molise a cavallo di Cercemaggiore.

A proporlo è la «Sviluppo Risorse Naturali», società con sede a Roma e interventi già effettuati e in corso in Sicilia e in altre regioni italiane. Non dei neofiti del settore, dunque, ma un’azienda collaudata che punta con decisione a rinverdire i trascorsi petroliferi dell’area sotto la sigla «Santa Croce» che individua il progetto interregionale di ricerca che si estende per 745,6 chilometri quadrati coinvolgendo anche i comuni sanniti di Morcone, Castelpagano e Santa Croce del Sannio.

La proposta presentata dalla SRN ha ottenuto il 16 dicembre 2010 il permesso alla ricerca da parte del Ministero Sviluppo economico. Ricerca che è ormai terminata. Lo rivela a Ottopagine il direttore generale di «Sviluppo Risorse Naturali», Antonio Pica: «Abbiamo concluso la valutazione dei dati ricompresi nelle carte geologiche e nelle mappe minerarie depositate agli atti del Ministero. Adesso potremmo proseguire l’indagine con un incrocio effettuato grazie alla acquisizione di una linea sismica. Ma è probabile che non ci avvarremo di tale possibilità in quanto gli elementi a nostra disposizione ci appaiono sufficientemente chia­ri». In altri termini: il petrolio al confine tra Sannio e Molise c’è, ed è tale da giustificare l’ipotesi di sfruttamento economico delle trivellazioni: «Del resto – fa notare Pica – storicamente non è la prima volta che la zona è interessata da programmi estrattivi per lo sfruttamento commerciale di giacimenti di idrocarburi. Siamo pronti a chiedere alle Regioni (Campania e Molise, ndr) il rilascio dell’autorizzazione Via per la valutazione di impatto ambientale di un pozzo esplorativo a conclusio­ne della fase di ricerca. Se, come riteniamo, l’esito sarà favorevole, chiederemo il nulla osta alla estrazione».

Grande determinazione come si vede nelle parole del promotore. ma i veleni di Cercemaggiore rappresentano comunque un ostacolo con il quale fare i conti. Pica con franchezza lo ammette: «Nei prossimi giorni saremo a Campobasso per un confronto con i responsabili dell’Arpa Molise. Vogliamo chiarire direttamente quanto è emerso in merito agli elevati valori di radioattività riscontrati dall’Agenzia nei pressi del pozzo. E’ una circostanza che ci lascia perplessi, anche perchè gettare rifiuti in un pozzo largo al massimo 30 centimetri è molto meno semplice di quanto si creda. Comunque è una vicenda assolutamente da approfondire che comporta qualche rallentamento anche a noi, pur non avendo alcuna relazione con quell’intervento se non la comunanza dell’areale di riferimento».

benevento.ottopagine.net

lunedì 7 aprile 2014

Spauracchio petrolio. Il ministro: 'Basta veti'. Sannio con il fiato sospeso


Monta la preoccupazione in Basilicata ma non solo. In Campania, come è stato spesso ricordato sulle pagine di questo portale, c'è un discorso in sospeso su possibili ricerche petrolifere nelle province di Benevento ed Avellino. Due interessano il Sannio (Pietra Spaccata e Case Capozzi) con una larga fetta di comuni (specialmente del Fortore e del Tammaro), Benevento inclusa, coinvolte dai progetti. Un 'pericolo' che fu messo in evidenza da associazioni e stampa, con la Regione Campania che ha provato a far passare quasi inosservato l'iter per avviare le indagini petrolifere.

Nacquero i comitati di protesta, poi i primi, timidi,interessamenti della politica locale, già finiti nel dimenticatoio: tutto questo condito dall'ambigua posizione del governatore campano Stefano Caldoro che non si è mai apertamente schierato contro le trivelle nell'entroterra sannita, e dal continuo tira e molla a colpi di delibere, permessi bloccati e attenzione mediatica. Nel Sannio ci fu anche un incontro, a Ginestra degli Schiavoni , con la Delta Energy ltd, la società britannica di Mr. Ferguson interessata ad investire nell'area fortorina. Tutto congelato ma è chiaro che se il Ministero dello Sviluppo Economico decide per il cambio di rotta, nessuno potrà opporsi, Regione, Province e Comuni (per leggere tutto l'articolo clicca qui sotto).


Spauracchio petrolio. Il Ministro: 'Basta veti'. Sannio con il fiato sospeso