martedì 17 maggio 2011

Secola, la presentazione del libro


Sabato scorso nella suggestiva cornice di palazzo Lembo c'è stata la presentazione del mio nuovo libro "Il brigante Secola". Ringrazio per la partecipazione il vicesindaco Giuseppe Ferro (in sostituzione del sindaco Domenico Canonico che non ha potuto partecipare per motivi familiari), il presidente della proloco Angelo Lepore, il relatore Angelo Iampietro, il consigliere delegato alla Cultura Michele Del Vecchio, la moderatrice Liliana Paolozza, Dionigi Bianco per gli intermezzi musicali e l'editore Luigi Romano.
Infine, voglio ringraziare il Comune di Baselice per aver messo a disposizione la location di palazzo Lembo. E tutte le persone che hanno partecipato all'iniziativa e quelli che non hanno potuto per diversi motivi.
Qui di seguito riportiamo alcuni stralci della relazione del prof Angelo Iampietro che troverete interamente sul prossimo numero di giugno del periodico "Fortore"
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(Clicca sulla foto per ingrandirla).


(...) Il nome del brigante Secola è a tutti familiare, anche perché il compianto amico prof. Alfonso Mascia, del quale abbiamo ascoltato poc’anzi la sua canzone, musiche di Dionigi Bianco, che fa da introduzione e da sfondo all’opera teatrale “Il brigante Secola”, che fu scritta e inserita in “Fortore, su il sipario!, pubblicata nel 1989 e nel 2009, è a molti di voi nota, perché hanno avuto modo di vederla in scena nelle rappresentazioni teatrali allestite in Baselice negli anni addietro.

Un lavoro per il teatro di questo tipo ha come riferimento alcuni dati reali su cui si basa l’intera vicenda, ma, nel contempo, la creatività dell’autore presenta fatti, situazioni, personaggi che, nel loro agire, si discostano o si muovono in azioni e comportamenti verosimili al contesto ambientale con assoluta libertà.

“Il brigante Secola” di Antonio Bianco ha tutt’altra veste; è un lavoro di ricostruzione storica di un personaggio baselicese che, per varie ragioni e per circostanze volute o non, rientra, pur non macchiandosi di efferati delitti, per l’aspetto marginale e localistico del suo coinvolgimento, nella questione storica post-unitaria con tutti i canoni di eversione e di ribellione.

L’opera del Bianco è frutto di una ricerca certosina su cui l’autore ha faticato molto per reperire e portare alla luce documenti, che danno del Secola una identità oggettiva e che ben lo inquadrano in un contesto storico, che lo accomuna ad altre persone ribelle di quel periodo per il loro credere, ubbidire, operare ed agire, guidati da un capo brigante di ampia fama come il generale Caruso, uomo intelligente e capace.

Il Bianco documenta ogni sua affermazione, riportando le parti salienti del documento da cui essa trae origine, citando le fonti, base solida di quanto egli asserisce. È il ricostruire una storia locale che egli fa con coscienza, competenza, scrupolo, oggettività: da vero ricercatore, attenendosi, nei suoi giudizi, ai soli fatti.

La sua pubblicazione l’ho letta prima ancora che fosse data alle stampe e ciò che mi ha colpito, oltre al contenuto ricco ed interessante, sono state la vasta bibliografia posta all’indice, le tante note di riferimento alle fonti, poste nelle pagine in pedice ed alcuni documenti ripresi e riportati in più pagine.
La ricostruzione storica impegna moltissimo chi si addentra in una tematica di questo genere, perché succede di frequente che si consultano documenti e si studiano più libri per scrivere, talvolta, solamente due righe.

Ho voluto far cenno a tutto questo per far capire quanto lavoro è costato reperire le informazioni necessarie, le fonti delle stesse e, poi, consultarle, studiarle, selezionarle per scrivere alla fine questo libro, che dissolve molti dubbi sulla condotta del brigante e del ruolo che egli ebbe all’interno della banda, cui apparteneva. Come del resto ci dice chiaramente quale fu il comportamento delle autorità locali nei confronti del Secola.

Nell’opera storica è la capacità nel saper individuare e interpretare i documenti, per non essere contraddetto da un altro studioso che si occupa del medesimo argomento. In ciò il Bianco è un abile segugio, cercatore di fonti e di testimonianze scritte, che, egli non solo sa interpretare e tradurre in dati oggettivi incontestabili, ma che riesce ad assemblare e mettere per iscritto con semplicità e sobrietà, non venendo mai meno ai canoni delle ricerca storica. L’autore ci chiarisce in modo brillante come il brigante si muovesse sul territorio e come egli, talvolta, come una volpe, sia riuscito a farla franca, nel momento in cui stava per essere acciuffato.

È ben delineata la sua figura ed il rapporto esistente con i potentati del Fortore, i quali, in un momento di incertezza, quando non avendo ancora ben chiare le idee sull’assetto futuro dell’Italia, tengono forti legami con i rappresentanti del nuovo Stato ma anche con i briganti, evidenziando al momento giusto, davanti alle autorità piemontesi, di fronte a qualche voce che li indicava come conniventi, di essere essi vittime di taglieggiamento, di minacce e di violenza da parte del Secola in persona.

È nota l’irruzione dei briganti nella casina di campagna con danneggiamenti di suppellettili proprio per dimostrare l’estraneità dei Signori ad ogni voce malevola di aiuto in beni alla banda.

Il brigante, però, quando ormai vede che il suo destino è segnato, decide di costituirsi. Confesserà, prima alle autorità e poi al collegio giudicante del Tribunale Militare di Caserta tutti i suoi crimini nella convinzione di poter avere qualche sconto di pena nella certezza di essere condannato e per vendicarsi di chi gli aveva fatto credere che era al suo fianco. Farà i nomi dei potenti, accusati di connivenza, i quali saranno indagati e giudicati, ma alla fine assolti.

Che non sia il caso de’ “la mosca ed il bove”, del Mascia nella opera teatrale omonima, che definiva “il debole, l’impotente (mosca), il forte, il potente, (bove)”.

L’intera vicenda giudiziaria si concluderà il 21 gennaio 1865, quando il Presidente della Corte Marziale emette la sentenza. “Il Tribunale Militare di Guerra di Caserta giudica Secola Antonio colpevole del reato di brigantaggio e resistenza a mano armata contro la forza pubblica… e lo condanna ai lavori forzati a vita, applicandogli un grado in meno di pena, che prevedeva la fucilazione, per essersi egli costituito”.

Morirà nel carcere di Portolongone, nell’Isola d’Elba, il 21 di aprile del 1885, all’età di 53 anni; era nato in Baselice il 5 Ottobre 1832 da Michele e da Maria Rosa Tresca.

Fatto curioso che, dell’avvenuto decesso, il Comune di Baselice ne avrà comunicazione il 20 Giugno del 1888, dopo ben tre anni. Non si sa dove sia stato sepolto!.

Non so se sia stata dimenticanza di qualche negletto impiegato o espressa volontà dei rappresentanti del Nuovo Stato di dimenticare o far dimenticare, per sempre, chi era stato loro nemico, volendo definitivamente cancellare una pagina di storia che, pur leggendola ed interpretandola come si vuole, ci appartiene senza alcun demerito per le passate generazioni delle quali siamo figli (...).

Per una copia del libro rivolgersi alla Proloco Baselice.

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