martedì 13 aprile 2010

Il nord e gli insegnanti del sud

Angelo Iampietro*

“Un maestro supplente viene licenziato in provincia di Pordenone perché parlava in dialetto…“. Circa quanto riportato dalla stampa nazionale, ritengo che un docente debba sempre esprimersi nella lingua nazionale, non solo usandola correttamente nei costrutti morfologici ne sintattici, ma con la giusta dizione, elementi questi che consentono all'utilizzatore del codice linguistico di essere autonomo, indipendente e di non dar adito a nessuno di mettere in atto simili provvedimenti, come nel caso citato: licenziamento per aver parlato in dialetto… Sono, altresì, convinto che se qualche espressione dialettale fosse stata usata da un maestro friulano, credo, non sarebbe successo nulla ed il caso non sarebbe mai venuto alla luce. Mi chiedo: come fanno un napoletano e dei bimbi friulani a comprendersi ed a comunicare se l’uno e gli altri non conoscono e mettono in atto lo stesso codice linguistico?. Posso capire che vi siano stati degli intercalari, delle espressioni in vernacolo da parte del maestro, ma non che questi si esprimesse sempre e comunque in dialetto per l’intero orario delle lezioni. La considerazione affonda le sue radici proprio nei codici linguistici delle due differenziate e lontane forme comunicative; com’è possibile comunicare tra mittente e destinatari se entrambi non adoperano un comune codice e, per giunta, il primo (vernacolo) così diverso per struttura, per dizione e per costrutti, specifici ed unici, dal secondo che è l’uso della lingua nazionale, ugualmente con un proprio costrutto, una specifica morfologia ed una propria sintassi?. Si aggiunga, poi, la distanza geografica tra l’idioma del maestro (Sud) e quella delle scolaresche (Nord-Est), che accrescono ancor più l’incomprensione. Certamente in quattro mesi, stando ai fatti riportati dalla stampa, non vi sarà stata alcuna forma di comunicazione tra docente e discenti e, quindi, “tabula rasa” in ordine allo insegnamento – apprendimento per quei sfortunati ragazzini. Anche perché qualsiasi metodologia, in assenza di valida comunicazione, è nulla, non potendo essa trasmettere i saperi necessari attinenti alla classe di frequenza. Vi saranno state molte incomprensioni, che hanno ingigantito certamente la questione, che poteva essere risolta con molto buon senso e con un minimo di dialogo tra le parti. In questo contesto anche la Scuola è stata infestata dalla mala pianta del “non dialogo”, che ha emanato intorno a sé quell’aria nociva che contagia e sconquassa, dello stesso male, altri comparti della vita civile. Il maestro, nel momento in cui si è verificato il suo anomalo comportamento didattico, a mio giudizio, andava avvertito che non si tollerava nessuna espressione di un idioma diverso da quello del luogo in cui egli operava e i rischi a cui sarebbe andato incontro, non esprimendosi sempre in lingua, come avrebbe dovuto. Purtroppo un supplente è l’ultimo anello di una catena debole di una categoria, di cui tutti parlano, ma nessuno la considera importante e necessaria, come giustamente meriterebbe, perché si occupa proprio dell’educazione, dell’istruzione e della formazione delle nuove generazioni e, quindi, del futuro di tutti (nostro e loro). Il maestro ha dovuto rinunciare alla supplenza o è stato allontanato?. Questo non lo so!. Mi è difficile rispondere. Del resto non conosco i fatti e posso solo fare delle considerazioni, non altro. Come essere umano posso solo dire che a chiunque debba essere data la possibilità di rivedere anche il suo “status comportamentale”, sempre nel pieno rigore delle regole e per i compiti per i quali si è chiamato ad espletare correttamente e col massimo impegno la propria professione; questo per tutti, ma essere ancora più prudenti, a maggior ragione, se si proviene da una regione lontana; non, come nel caso specifico, essere subito additato come colui che non è in grado di dare ciò che ci si aspetta o di disorientare culturalmente i bimbi che gli erano stati affidati, perché parlava in dialetto. Essere processato per volere della folla non significa affatto rendere giustizia a chi è ritenuto colpevole, anche perché solo, indifeso e bisognoso di lavorare. Nel mondo animale, quando un cane è solo, gli altri, in branco, non solo lo rincorrono, ma l’abbaiano dietro, facendo una gran “cagnara”, in modo che quello possa essere ancora di più spaventato. Che non sia il caso del maestro, che, se non è del luogo, non venga accettato? Il lavoro di chi ha lavorato al Nord è stato anche apprezzato per l’impegno profuso, ma si può anche affermare che, a volte, la scelta ed il rumore dei più, senza alcuna ragione, ha messo nell’angolo chi era a difendersi da solo. Accetto l’incapacità e, quindi, l’allontanamento dal proprio posto di lavoro, ma non fare barricate contro uno, che avrà anche sbagliato,ma che certamente non voleva danneggiare nessuno. Il maestro ha dentro di sé qualità che molti hanno dimenticato: disponibilità al dialogo, impegno e responsabilità verso i suoi alunni e , quindi, verso la società, pazienza, preparazione professionale ed un comportamento etico ineccepibile; questi sono solo alcuni degli ingredienti che forgiano la personalità di un maestro e chi non possiede questi requisiti, non può farlo, perché i primi giudici sono i suoi innocenti allievi. Costui voleva anche vivere con il poco e lo dimostra il fatto di aver fatto le valigie ed essere approdato fiducioso in Friuli, che aveva per lui lo stesso valore e la stessa speranza dell’emigrante dell’ante e post guerra, che, su di navi di terza classe, si avventurava per l’Oceano, per vedere risolti i suoi bisogni di cui aveva tanto bisogno. Buona fortuna, sconosciuto ed indesiderato Maestro! 
  *docente

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