sabato 6 giugno 2009

Fortore, nasce l'associazione Trediciarchi


Si è costituita da poco l’Associazione Trediciarchi, un’associazione che ha per fondamento statutario la promozione e lo sviluppo culturale, sociale e turistico dell’area del Fortore. I suoi scopi principali sono infatti quelli di svolgere attività di studio, di ricerca, di informazione e di documentazione per favorire la conoscenza dell’area del Fortore e contribuire al recupero del suo patrimonio storico, artistico, demoetnoantropologico, archeologico, naturalistico e ambientale.

L’Associazione, pur avendo sede a Riccia, si rivolge comunque ad un territorio più ampio, il territorio attraversato dal fiume Fortore che interessa le province di Campobasso, Foggia e Benevento. Un’area omogenea per orografia ed affinità etniche e nella quale sono presenti numerose comunità...

Un’area nella quale l’isolamento e la strisciante marginalità subita nel corso degli anni hanno agito in profondità facendo smarrire o dimenticare al proprio interno quelle comuni origini delle quali si rinviene traccia, ancorché trasformate e indebolite, ad esempio nelle tradizioni popolari, nella parlata e nei termini dialettali, nelle preparazioni alimentari, nella presenza assai diffusa di famiglie che rivelano con il loro cognome luoghi di provenienza contigui e unioni nuziali esogamiche: testimonianza di una intensa mobilità, che trova riscontro nei numerosi, costanti e vicendevoli rapporti commerciali o in quelli di scambio legati alla transumanza.

Sono trentotto i paesi, con una popolazione di circa 72.000 residenti, che ricadono nelle tre Comunità montane – quella del Fortore molisano, quella del Fortore beneventano e quella del Sub Appennino dauno – esistenti nell’area. Paesi che conservano per lo più assetti ed architetture urbane originarie, che si caratterizzano per le atmosfere rarefatte dei centri storici, scrigni di tesori artistici dimenticati o scarsamente valorizzati.

A questi paesi, alle loro popolazioni e, soprattutto, alle associazioni culturali e ai comitati operanti al loro interno si rivolge l’Associazione Trediciarchi, per tentare di dare vita sia ad un’idea condivisa di riscoperta identitaria, sia ad una serie di concrete proposte per la valorizzazione delle produzioni tipiche, dell’artigianato, delle tradizioni religiose e popolari, delle bellezze artistiche, architettoniche e naturalistiche dell’intera area.

Per tali ragioni l’Associazione ha scelto come nome e come logo l’immagine stilizzata del ponte sul fiume Fortore; ponte che mette in comunicazione la provincia di Campobasso con quella di Foggia e con il territorio beneventano a ridosso di San Bartolomeo in Galdo. La struttura, già menzionata nella relazione di Capecelatro del 1652, prende infatti il nome dalle tredici arcate che ne formavano la nuova costruzione, terminata nel 1859. Danneggiato durante la Seconda guerra mondiale esso fu ripristinato in seguito e gli archi diminuiti a sette; oggi è stato sostituito da un moderno viadotto conservando, comunque, la vecchia denominazione. Un’opera che ben rappresenta gli sforzi fatti dagli abitanti delle zone fortorine per strappare dall’isolamento le proprie comunità e avvicinarle tra esse.

Tra i programmi imminenti vi è l’organizzazione di un convegno di archeologia, durante il quale sarà fatto il punto sullo stato delle campagne di scavo che da diversi anni interessano l’area. I lavori finora condotti hanno messo in luce l’esistenza di antichi insediamenti a testimonianza di una diffusa antropizzazione del territorio e di una rilevante importanza strategica e religiosa dello stesso. Seguiranno, inoltre, iniziative di carattere editoriale e promozionale. Per avere maggiori informazioni ed aderire al progetto si può mandare una email all’indirizzo associazionetrediciarchi@virgilio.it, oppure collegarsi su Facebook e cercare la pagina corrispondente all’Associazione.

Elezioni, urne aperte dalle 15


Da stamattina anche a Baselice si sono insediati i seggi per le elezioni comunali ed europee del 6 e 7 giugno. Si vota oggi dalle 15 alle 22 e domani dalle 7 alle 22. Lo spoglio per le elezioni europee avverrà domani sera subito dopo la chiusura dei seggi. Lunedì invece alle 15 ci saranno le amministrative.

venerdì 5 giugno 2009

I comizi di Nicolino del Vecchio e Domenico Canonico


«Ne avrei fatto a meno di fare questo comizio perché non sono candidato. Ma fatti e circostanze mi hanno costretto a fare una chiacchierata con voi. A Baselice c’è l’oppressione e quindi i nostri avversari si apprestano a conquistare la libertà».
Esordisce così il sindaco uscente Nicolino del Vecchio nel suo comizio di ieri. E subito ha difeso la scelta di cedere il testimone al proprio rampollo. «Penso che mio figlio – dice – abbia spiegato di essere un cittadino come gli altri. Non c’è nessun patto, non c’è nessuna dinastia. Nessuna successione. Si presenta per essere giudicato come chiunque si appresta a fare politica».

Ha anche difeso i lavori fatti a palazzo Lembo e palazzo De Bellis. «Se noi non aiutiamo le imprese locali, credo che il paese diventi sempre più povero. È compito di un amministratore creare lavoro per la comunità». Ammette tuttavia che ci sono opere incompiute. «Però chi fa politica sa che i fondi non vengono sempre elargiti in pieno, ma a lotti». E poi ha risposto sulle frane («E’ colpa della natura») e sul costone tufaceo: «Sono progetti preliminare, non esecutivi. I soldi spesi per il costone sono pochi».
Infine, ha sciorinato tutti i compensi professionali per i lavori attribuiti all’avversario Domenico Canonico nella sua qualità di tecnico.

Finito il comizio la folla che riempiva piazza Convento si è spostata in massa in piazza San Pietro per ascoltare quello della lista avversaria. E subito c’è stata la risposta di Domenico Canonico. «L’avevo già anticipato nelle altre sere. C’è qualcuno che vuole a fare il sindaco per interposta persona. Chiediamoci? Perché questa sera non si è presentato il figlio a fare il comizio. Allora ho ragione quando dico che c'è qualcuno che vuole continuare una dinastia politica. Non ha parlato il figlio. E poi ha detto che ha aiutato i disabili. Ma se ha fatto causa all’associazione nazionale degli invalidi civili». E sull’occupazione: «Nessuno vuole togliere lavoro a nessuno».

Mentre sulle opere incompiute ha replicato: «I progetti devono essere finalizzati. Finiti». Il candidato della lista “La nostra terra” ha rifiutato poi il confronto sui fatti privati. «Avete mai visto Domenico Canonico fare degli attacchi personali? Io in queste sere ho parlato di politica. Le cose private non devono entrare nella politica. Il sindaco uscente si è attribuito il merito dei finanziamenti arrivati a Baselice. Ma questi sono arrivati grazie al sottoscritto, grazie al mio mestiere». E aggiunge:«Questo dimostra che non hanno più nulla da dire e da dare a questo paese».

Stasera chiusura della campagna elettorale. Parleranno i due candidati a sindaco.

mercoledì 3 giugno 2009

Canonico: se sarò eletto rinuncerò allo stipendio

Nonostante la pioggia incessante, domenica scorsa, piazza Convento era gremita per il quarto comizio di Domenico Canonico. E il leader della lista “La nostra terra” non ha disatteso le aspettative. “In caso di vittoria elettorale io e la mia squadra rinunceremo a qualsiasi indennità di carica. Perché noi non vogliamo andare al Comune per i nostri interessi personali”, ha affermato il candidato sindaco.

Canonico, ha poi ribadito l’impegno a risolvere definitivamente il problema del traffico di via Santa Maria. Così come quello dell’ospizio di via Cardarella (“Che potrebbe portare all'occupazione di sei sette unità lavorative”, ha precisato). Creare poi un nucleo di Protezione civile e una cooperativa per la gestione e la manutenzione del centro urbano. Non solo. Fare anche un parco eolico comunale. “Come ha fatto il Comune di Stella in provincia di Genova che fornisce energia elettrica gratis per i propri cittadini”, ha sottolineato.

Canonico ha promesso anche di risolvere il problema dei bimbi che vivono in campagna i quali non possono frequentare gli asili di Baselice perché non c’è un bus attrezzato. Infine, ha attaccato la maggioranza uscente per la scelta di costruire un’isola ecologica vicino una casa privata. “Casa fatta con tanti sacrifici. Non c’erano altri posti. Perché proprio lì?”.

Stasera, intanto, ci sarà un nuovo comizio della lista “La nostra terra”. Mentre secondo alcune indiscrezioni nei prossimi giorni ci dovrebbe essere un comizio di risposta del sindaco uscente Nicolino del Vecchio.

(Nella foto il comizio di ieri sera)

lunedì 1 giugno 2009

Il teatro di Alfonso Mascia in "Fortore su il sipario!"


Postiamo una sintesi della relazione del prof Angelo Iampietro tenuta a Baselice il 23 maggio scorso in occasione della presentazione del nuovo lavoro del prof Alfonso Mascia "Fortore su il siparo!".

Pregevole è la veste editoriale che si presenta in tre volumi, suddivisi per temi, racchiusi in un elegante cofanetto-contenitore. Il titolo è quello della precedente edizione del 1989 “Fortore, su il sipario!”, ma l'edizione è riveduta con la cura esatta dell'ortografia e ampliata di cinque lavori. Contiene, inoltre, la traduzione interlineare dei lavori in un italiano colloquiale, che cerca di riprodurre l'efficacia, se non tutto il colore e tutto il sapore, del testo in vernacolo.

Alfonso Mascia nasce a Baselice ed ha svolto la sua opera di Professore di “Lingua e letteratura italiana e lingua e letteratura latina” nei Licei di Stato di San Bartolomeo in Galdo e di S. Marco dei Cavoti. Egli ha scritto tanto e non solo opere teatrali (drammi e commedie); di queste ultime, numerose per numero, ha voluto farci dono, attraverso il suo racconto scenico, di fatti, situazioni, eventi, memorie, ricorrenze, tradizioni, riti, comportamenti, dicerie, credenze perché la nostra memoria non dimenticasse ciò che è appartenuto al mondo valoriale di noi tutti.

Ma ciò che colgo di valore inestimabile e che, certamente sarebbe andato perduto, è l’analisi dei comportamenti del passato che il Mascia propone in vernacolo e lo fa con dovizia di particolari in un susseguirsi di situazioni sceniche, dove l’occhio dello spettatore, quasi d’incanto, segue, senza mai annoiarsi, ciò che viene rappresentato e dove questi, in tanti contesti, si riconosce.
Egli è un abile trasmettitore che non ha pari e che riesce a farlo in modo mirabile perché ne coglie tutte le sfumature; e lo fa, a volte, con un sorriso, che, in alcune vicende, diventa quasi ironia, ma mai e poi mai sarcasmo.

Egli vuol far conoscere, vuol far sapere, vuole che non si dimentichi e lo fa con lo scritto perché ognuno possa scoprire, anche a distanza di anni, come eravamo.
Egli, quindi, ci presenta il vissuto di un’intera popolazione in cui vengono evidenziate le dinamiche esistenziali, il più delle volte aspre, ma che hanno come base la semplicità e su cui si innestano anche il confronto e lo scontro.
Il Mascia scrive in vernacolo baselicese, un dialetto autentico parlato da pochi, ma il valore culturale per espressività e per i tanti temi che egli affronta, certamente, non resta ristretto al solo nostro territorio. Il vernacolo gli serve - come dice l'Autore nella prefazione - “per non tradire neppur minimamente l'anima fortorina o falsarne le sfumature”.

Sono parte integrante del suo teatro i “Canti corali”, per lo più mesti, solenni, elementi questi insostituibili e caratterizzanti: in essi l'Autore vuole che respiri l'anima della gente fortorina. Un’altra tematica che il Mascia tratta in alcuni drammi è quella storica. Lo fa – come il Mascia dice - ”per gli umori e i sapori della gente fortorina coinvolta in grandi contingenze storiche quali la dominazione spagnola e il brigantaggio post-unitario nel Fortore”. Si ricordano, a tal riguardo: “Lu briante Secule”, “Plebaglia” e “Lu 1656: ché anne chidd'anne!”.

In tutte e tre le opere i protagonisti popolani hanno piena consapevolezza dei loro limiti e si muovono nel loro agire con spirito di umanità, che resta immutato anche quando le circostanze li porterebbero ad agire diversamente.

“Lu briante Secule” è una vera lezione di storia nella quale troviamo tutti gli elementi e le problematiche dell’Italia unita; problematiche che prenderanno il nome di “Questione meridionale”, che tuttora risulta in parte irrisolta.

In “Plebaglia” l’autore delinea il mondo medioevale con le sue regole ed i suoi usi.
Il dramma vuole essere un flash sulla vita condotta dalla gente del Fortore in secoli bui e lontani: protagonista, più che il signorotto Ottavio Carafa, con la sua arroganza ed i suoi soprusi, è la gente con i suoi bisogni elementari, la gente, che, del signorotto, subisce soprusi ed arroganza. “Lu 1656: che anne chidd'anne” non sfugge all'analisi socio-storica dell'Autore, un'altra pagina dolorosa di storia fortorina: “l'anno 1656, l'anno del colera”, in cui nell'atmosfera di morte vive la storia d'amore di due giovani che trionfa sulla morte e sulla vessazione del signorotto locale.

Altro grande tema che l’autore tratta è l’emigrazione; lo fa, proprio perché Baselice, insieme a tutto il Fortore, al Sannio e all’intero Meridione non poteva sottrarsi alla portata di quest’ampio fenomeno sociale, iniziato alla fine dell’Ottocento, per le sue limitate risorse economiche.Un fenomeno di così vasta portata è presente nelle opere teatrali: “Li cane frustiate”, “Lu viaije vacante”, “Li figghie de la iaddina nere”, “Mannaggia a Sacripante”. Emigrazione vista sotto i vari aspetti: con l’emigrante che porta con sé nel Paese d’arrivo i suoi limiti comportamentali e culturali.

Il Mascia sintetizza e fa propri i motivi che hanno suscitato questo ampio fenomeno di massa. Partendo dal rifiuto del proprio vissuto nel nostro ambiente e soggetto ad un’autorità patriarcale, nel dramma: “Li cane frustiate”, Salvatore, giovane membro della famiglia Colajanni, decide di emigrare. E' questo un atto di ribellione allorquando dice: “I’ qua non ce voije sta cchiù”.

Contrapposte ad un gesto cosi deciso, in “Lu viaije nvacante” emergono la semplicità e la credulità della nostra gente dinanzi al miraggio di un’occupazione; ne approfitta il furbo mediatore per il proprio tornaconto. Lo sfruttamento è subito da Tommaso, allorquando, per una giornata di duro lavoro (quale lo spaccare legna), riceve come compensa un grazie e nulla più, accompagnata da: “tanti saluti a mammète, che brava femméne...”

Il disagio economico porta pure ad una limitazione di legami affettivi nei giovani senza futuro. E’ tutto questo racchiuso nella simpatica espressione di Giuseppina, una ragazza del paese in attesa di marito, rivolta a Tommaso, suo pretendente, anche lei senza alcuna prospettiva:“Tumà…a case vonne ca maggia marità, subbete. Come campame nuie duie? Cu l’occhie nire e li capidde ricce?”.

Altro motivo ricorrente è il migliorare il proprio tenore di vita in loco con l’acquisto di un “proprio” podere o di una “propria” casa. I sacrifici all’estero renderanno la vita più piacevole e potranno consentire maggiore dignità e prestigio sociale. Accanto ai fattori che hanno spinto la gente ad espatriare, il Mascia offre anche un’ampia panoramica sulle condizioni dell’emigrato.L’emigrato appare, per lo più, uno sprovveduto, un povero diavolo, un lavoratore instancabile che accetta qualsiasi lavoro, orgoglioso del proprio operato, un incerto, un sentimentale legato alle radici.L’autore fotografa anche una realtà che è parzialmente attuale: l’emigrazione vista come elemento di emarginazione.Il fenomeno migratorio del dopoguerra, su cui il Mascia pone l’accento con maggiore intensità, ha avuto conseguenze politiche e sociali di notevole interesse economico.

Mentre i giovani, pervasi dalla speranza di progredire e di un più facile guadagno, hanno cercato di inserirsi nel circuito evolutivo della regione industrializzata, superando remore, difficoltà ambientali e culturali, gli anziani si sono dovuti adattare per mere necessità economiche, nutrendo nell’animo sempre il sentimento delle famiglia, il legame con il propria terra d’origine, la nostalgia del proprio paese, delle proprie tradizioni, delle usanze, dei costumi. E' la decisione di Minguccio nei pressi della stazione di Torino quando dice: “Ma sa ché ce sta da nòve! Mò facce una penzàte: le manne a fa' 'ncule a Torìne e a tutte la migrazione e me ne torne a la propria terra...”.

Anche se c'è chi nei confronti della propria terra nutre rancore. E' il caso di Tommaso in “Lu viajje a nvacante” quando dice : “...I' nò. Pe Vaséuce cròcia nére! I' nò me ne venghe chhiù, maje cchiù. Lasse ca mòre!...”.

Il Mascia, con l’arte del drammaturgo, non solo rappresenta il dramma dell’emigrazione del Fortore e ,in particolare, di Baselice, ma ha esteso quel dramma all’intero Sannio che, poi, in realtà si fonde e si confonde con l’intero Sud.
Il problema dell’emigrante disadattato, si condensa e si sintetizza in
“Li figghie de la iaddina nere” nella figura di Minguccio, giovane emigrato in Germania e, poi, dopo il matrimonio, a Torino, che diventa, così, il protagonista della parte scenica di questo grande fenomeno.

Il tema dell’emigrazione tocca un po’ tutte le famiglie di Baselice e dell'intero Fortore; ogni famiglia è partecipe dell’opera del Mascia perché ha vissuto ne vive il fenomeno migratorio. Ma il Mascia, nell’approfondimento del tema, non tralascia un altro motivo che è proprio dell’emigrazione: il fenomeno delle vedove bianche è presente nell'opera suindicata. Il far teatro del Mascia mostra anche questa sfaccettatura, ma vuole essere un invito a non rompere le tre dimensioni: paese, famiglia, emigrante.L'attenzione del Mascia si sofferma in “Quanne jè nire...jè nire”, anche sull'unico tentativo di riscossa della gente fortorina: la Marcia della fame del 14 aprile 1957: un fallimento, una disdetta per il Fortore!.

In quest'ampia raccolta di opere, suddivise per temi, non poteva mancare: la commedia.
Esse s'incentrano su candide figure di una civiltà che sta per scomparire definitivamente: “Marionette, forse, - dice l'Autore -, ma di carne, che si lasciano ben volere per le loro originalità”.Si ricordano: Mannàggia a Sacepànte!“, “A fa' li cunte sènze de lu tavernàre!” e “E brave Giambattiste! Brave!”. Infine in “Ajjére e vòjje”, si fa una carrellata di momenti storici e di aspetti culturali della gente del Fortore dalla caduta del Fascismo il 25 luglio 1943alla fine del secolo, un cinquantennio di storia, un collage di elementi, desunti, con lievi adattamenti, da varie opere teatrali, sintesi del suo teatro sociale.

Angelo Iampietro